Favoreggiamento della permanenza illegale di cittadini extracomunitari: dolo specifico

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La Cassazione, sezione penale, si è pronunciata in merito ad un caso di concorso nel reato di favoreggiamento della permanenza illegale di cittadini extracomunitari al fine di trarre un ingiusto profitto (Cass. 49795/2023).

Il titolare di un’azienda vivaistica è stato condannato in primo grado e in appello per aver commesso tale reato. In particolare, l’imputato è stato ritenuto: “responsabile del reato di cui all’art. 110 c.p. e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, comma 5, perché, in concorso con B.A.H. (giudicato separatamente), gestore di un patronato, aveva favorito la permanenza sul territorio nazionale di sei cittadini extracomunitari al fine di trarre un ingiusto profitto”.

Nel caso in questione, infatti, il gestore di un patronato aveva presentato una richiesta diregolarizzazione per ben 43 cittadini extracomunitari, allo scopo di trarne un profitto economico.

Pur consapevole che questi ultimi erano privi dei requisiti previsti dalla legge, il titolare dell’azienda vivaistica, in accordo con tale funzionario, ne aveva  fittiziamente assunti sei e aveva dichiarato falsamente che erano domiciliati presso abitazioni a lui riferibili, al fine di consentire loro di ottenere il permesso di soggiorno.

Il titolare dell’azienda si difendeva evidenziando che soltanto il gestore del patronato (coimputato) aveva agito con il fine specifico di trarre un profitto economico dall’operazione, mentre nel suo caso non vi era stato il medesimo intento.

Ne discendeva, secondo l’imputato, la mancanza del dolo specifico, requisito necessario per la sussistenza dell’ipotesi di reato.

La Corte di Cassazione ha rigettato la difesa avanzata, evidenziando che il dolo specifico costituito dal fine di trarre un ingiusto profitto dalla condizione di legalità dei cittadini stranieri non deve essere necessariamente comune a tutti i concorrenti nel reato:

“Dalla coscienza della fittizietà dell’operazione posta in essere discende che, per quanto il ricorrente non abbia agito con lo scopo di trarre un profitto economico, egli era a conoscenza che questa era la finalità perseguita dal coimputato”.


Altra decisione in materia di dolo specifico

La Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza del 15 aprile 2008 con cui il giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di quella città condannò, in esito a rito abbreviato, R.R.F. alla pena di un anno di reclusione ed Euro 6000,00 di multa per aver favorito la permanenza sul territorio dello Stato, al fine di trarre profitto dalla loro condizione di illegalità, di due cittadini extracomunitari privi del permesso di soggiorno, specificamente ospitandoli nell’appartamento di via (omissis) , di proprietà di Ru.Ro. e a lei regolarmente affittato, dietro il pagamento di una somma di denaro quale pigione, reato accertato il (omissis) .

La Corte territoriale ha posto in evidenza che dagli accertamenti di polizia, nonché dalle dichiarazioni della stessa ricorrente, è emerso che questa accettò di prestare il suo nome alla connazionale Ro.Sa. , clandestina, consentendo in tal modo l’elusione delle norme sulla registrazione del contratto e di quelle poste a presidio della pubblica sicurezza e che ciò fece allo scopo di lucrare, o comunque facendo lucrare, un canone di locazione, comunque rivestito del carattere di profitto ingiusto.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso R.R. , deducendo:
– Violazione di legge e difetto di motivazione. La sentenza impugnata, sì come quella di primo grado, ha omesso di accertare l’elemento dell’ingiusto profitto, essenziale ai fini dell’integrazione della fattispecie criminosa oggetto di contestazione. Manca, infatti, qualsivoglia dimostrazione in relazione al fatto che la ricorrente percepisse un canone locatizio e, soprattutto, che lo stesso fosse “oneroso ed esorbitante”.

Considerato in diritto

Il ricorso è fondato per le ragioni di seguito esposte.
L’integrazione del reato necessita dell’elemento soggettivo del dolo specifico, come reiterata mente evidenziato da questa Corte, e cioè dalla sussistenza in capo all’agente del fine di trarre un profitto Ingiusto.

In questo senso questa Corte ha già affermato che “ai fini della configurazione del reato di favoreggiamento della permanenza nel territorio dello Stato di immigrati clandestini…, nell’ipotesi di rapporto contrattuale instaurato con essi, occorre accertare la sussistenza, in capo all’agente, del dolo specifico, consistente nella finalità di trarre ingiusto profitto dalla condizione di illegalità dello straniero clandestino”.

Il principio è stato pronunciato in un caso di concessione in locazione a immigrato clandestino di locali ad uso di abitazione, ove però non era stato accertato se dalla stipula del contratto il locatore avesse inteso trarre indebito vantaggio dalla condizione di illegalità dello straniero con l’imposizione di condizioni onerose ed esorbitanti dall’equilibrio del rapporto sinallagmatico – Sez. 1, n. 46066 del 16/10/2003 (dep. 28/11/2003), Capriotti, Rv. 226476 -.

Ancora, e in conformità, si è pure detto che ai fini della configurazione del reato di favoreggiamento della permanenza nel territorio dello Stato di immigrati clandestini…, non è sufficiente che l’agente abbia favorito la permanenza nel territorio dello Stato di immigrati clandestini mettendo a loro disposizione unità abitative in locazione, ma è necessario che ricorra il dolo specifico, costituito dal fine di trarre un ingiusto profitto dallo stato di illegalità dei cittadini stranieri, che si realizza quando l’agente, approfittando di tale stato, imponga condizioni particolarmente onerose ed esorbitanti dal rapporto sinallagmatico – Sez. 1, n. 46070 del 23/10/2003 (dep. 28/11/2003), P.G. in proc. Scarselli, Rv. 226477 -.

E più di recente si è ribadito che l’elemento soggettivo richiesto per la configurazione del reato… è il dolo specifico costituito dal fine di trarre un ingiusto profitto dallo stato di illegalità dei cittadini stranieri, situazione questa che si realizza quando l’agente, approfittando di tale stato, imponga condizioni particolarmente onerose ed esorbitanti dal rapporto sinallagmatico – Sez. 1, n. 5093 del 17/1/2012 (dep. 9/2/2012), Abdalah e altri, Rv. 251855 -.

La sentenza impugnata – come anche la sentenza di primo grado – ha omesso di misurarsi con questo principio, limitandosi all’affermazione che la ricorrente agì per lucrare, o per far lucrare al proprietario dell’immobile, il canone di locazione, ritenuto per ciò solo oggetto di ingiusto profitto, a prescindere da ogni considerazione circa lo sfruttamento o meno delle condizioni di immigrati clandestini dei conduttori.

Nella ricostruzione del fatto-reato, sì come operata in sentenza, difetta un elemento necessario della fattispecie, appunto il dolo specifico, e pertanto si impone l’annullamento della sentenza perché il fatto non costituisce reato.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il fatto non costituisce reato.

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