Permesso di soggiorno di coppia omosessuale : la Corte Europea condanna lo Stato Italiano

Coppia gay permesso soggiorno

Un cittadino neozelandese fidanzato con un italiano aveva chiesto nel 2004 il permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare ma gli era stato negato. Ora Bruxelles condanna l’Italia

Quasi 40 mila euro di risarcimento: è questa la cifra che il governo italiano dovrà versare ad una coppia gay, in base ad una sentenza della Corte europea dei diritti umani, per aver negato il permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare a Douglas McCall, un cittadino neozelandese che aveva deciso di trasferirsi a vivere in Italia con il suo compagno, Roberto Taddeucci.

Sul conto ci sono 20 mila euro per la mancata concessione del permesso e altri 18.924 euro per le spese che la coppia ha dovuto sostenere. I due uomini fino al dicembre 2003 hanno vissuto in Nuova Zelanda come coppia anche se non erano sposati, ma quando hanno deciso di trasferirsi in Italia, McCall ha ricevuto un permesso di soggiorno temporaneo come studente. Nel 2004 però la sua richiesta di un permesso per motivi familiari è stata respinta e così i due hanno presentato ricorso.

La sentenza di primo grado è stata favorevole alla coppia ma in Appello è stata ribaltata e la Cassazione ha confermato la sentenza di secondo grado. Ora però cambia tutto con la decisione della Corte europea dei diritti umani : l’Italia è stata condannata non perché abbia usato un metro diverso in base all’orientamento sessuale, ma ha comunque limitato il senso di ‘membri di famiglia’ solo alle coppie eterosessuali.

Come coppia omosessuale, Taddeucci e McCall si trovavano in una situazione differente rispetto a quella di una coppia eterosessuale non sposata e il cittadino neozelandese “non aveva strumenti legali in Italia per ottenere lo stato di ‘membro di famiglia’ collegato a Taddeucci e, pertanto, non aveva diritto ad un permesso di soggiorno”.

Secondo la Corte, l’Italia ha quindi violato l’articolo 8 (Diritto al rispetto della vita privata e familiare) e l’articolo 14 (Divieto di discriminazione) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. In ogni caso la decisione, espressa con il voto favorevole di 6 dei 7 membri, è appellabile entro tre mesi.

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