Il caporalato, una piaga che non trova ostacoli nonostante le leggi severe

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Gli accadimenti dell’ultima settimana hanno fatto riemergere con forza la questione del caporalato, che trova ampia diffusione nelle campagne del Mezzogiorno, specialmente in alcune Regione come Puglia e Calabria.

Pochi giorni fa un furgone carico di migranti, che procedeva in direzione San Severo (Foggia), si è scontrato con un tir: l’impatto violentissimo ha provocato la morte dei dodici extracomunitari che svolgevano il lavoro di braccianti.

Una vera e propria tragedia, avvenuta a distanza di pochi giorni dall’altro incidente stradale mortale che si è verificato lungo la provinciale 105 tra Castelluccio dei Sauri e Ascoli Satriano, sempre nel foggiano. In quell’occasione sono deceduti 4 braccianti agricoli  impegnati nella raccolta del pomodoro.

Tutte le vittime lavoravano nei campi per delle paghe misere. Dalle 8 alle 12 ore al giorno per ottenere al massimo un paio di euro ogni ora.

Un sistema illegale di reclutamento di manodopera per il lavoro agricolo, meglio noto proprio con il nome di “caporalato”: un business a cui non ha messo argine neppure una legge approvata due anni fa con l’obiettivo di inasprire le sanzioni nei confronti di chi si arricchisce sulle spalle dei braccianti.

Sostanzialmente, i “caporali” si appostano in determinate zone e reclutano i braccianti sui propri mezzi, fin dalle prime ore del mattino.

Succede nell’edilizia, ma ancora di più nel settore dell’agricoltura: un fenomeno che secondo la Flai CGIL scatena un business da 4,8 miliardi di euro, con 1,8 miliardi di evasione contributiva.

In alcuni casi, i lavoratori sono sottoposti a condizioni a dir poco estreme: le giornate lavorative possono essere anche di 12 ore e la paga oscilla dal semplice euro ai 3-4 euro l’ora in caso di lavori particolarmente pesanti.

In sostanza, il quadro che emerge è che il salario destinato ai braccianti è inferiore del 50% a quello previsto dalla contrattazione nazionale, con le donne maggiormente discriminate (si stima un 20% in meno rispetto agli uomini).

Uno sfruttamento pesantissimo, che secondo il sindacalista USB Aboubakar Soumahoro non deve essere individuato solo sul piano etnico: “Quelli che ci sono appena stati a Foggia sono morti sul lavoro, e basta – tuona Soumahoro al “Sole 24 Ore” – Continuare a chiamarli ‘extracomunitari’ è solo deumanizzante e serve a distrarre dai veri problemi di fondo”.

Eppure la legge per il reato di caporalato esiste, e prevede delle pene di reclusione da uno a sei anni e multa da 500 a 1000 euro per ogni lavoratore reclutato.

Se il “caporale” esercita anche violenza e minacce, la reclusione aumenta da cinque a otto anni e la multa da 1000 a 2000 euro.

Ma il fenomeno continua ad espandersi senza freni: basti pensare che nel 2017 nelle 7.265 aziende agricole controllate dall’Ispettorato nazionale del lavoro sono risultati ben 5.222 braccianti irregolari, di cui 3.549 in nero.

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