Coppia lesbica, negata la cittadinanza italiana al figlio

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Il bambino, figlio di due donne unite civilmente in Inghilterra, ha una delle mamme italiane e il Comune di Bari lo ha registrato. Ma il ministero dell’Interno ha bloccato tutto

Arriva da Bari l’ennesimo caso dubbio di trascrizione all’anagrafe di un bambino figlio di una coppia gay.

Due donne, una di cittadinanza inglese e l’altra cittadina italiana, si sono unite civilmente in matrimonio in Inghilterra e due anni da la prima è anche diventata mamma di un bambino.

All’epoca è stato registrato all’anagrafe britannica, essendo figlio biologico della donna inglese, come figlio della coppia gay.

Ma da quando la famiglia si è trasferita in Puglia non riesce ad ottenere lo stesso tipo di trattamento nonostante abbia fatto regolare richiesta di registrazione al Comune di Bari, essenziale per fare ottenere al piccolo la cittadinanza italiana in virtù del rapporto di parentela stretta con la donna italiana.

In un primo tempo gli uffici comunali del capoluogo pugliese hanno richiesta un parere scritto l Ministero dell’Interno senza ottenere risposta e così alla fine di marzo ha deciso di registrare comunque l’atto, dopo che in realtà aveva in un primo tempo presentato in ricorso in Procura, poi ritirato.

Tutto a posto quindi per le due donne e il figlio?

Non proprio, perché a quel punto è intervenuto il Viminale dando parere negativo alla trascrizione.

Il motivo è legato proprio alla mamma italiana del bambino: se è vero che per la legge inglese quello è suo figlio, non ha un legame biologico con il bambino e quindi quest’ultimo non può essere riconosciuto come figlio di una donna italiana e ottenere la cittadinanza.

Il ministero dell’Interno ha fatto sapere nelle ultime ore che è stata l’Avvocatura di Stato ad impugnare l’atto e quindi di fatto impedire la trascrizione del bambino come cittadino italiano perché “la legge italiana relativa alle unioni civili non parla di filiazione”, è irrilevante per la cittadinanza il fatto che le due donne siano unite civilmente.

Per la cittadinanza conta la ‘ius sanguinis’ e secondo il Viminale in questo caso non è dimostrabile.

Le due mamme comunque hanno deciso di proseguire la loro battaglia legale, appoggiate dall’Avvocatura per i diritti Lgbt – Rete Lenford e anche dal Comune di Bari, e ora toccherà ad un giudice pronunciarsi anche se i tempi non si annunciano brevi.

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