Cittadinanza anche se il coniuge muore: la sentenza della Corte Costituzionale

La cittadinanza italiana non può essere negata ai soggetti a cui spetta di diritto anche se nel corso del procedimento per il riconoscimento della stessa il coniuge viene a mancare.

E’ quanto stabilito nella sentenza n. 195 con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 5 della legge 5 febbraio 1992, n. 91 “nella parte in cui non esclude, dal novero delle cause ostative al riconoscimento del diritto di cittadinanza, la morte del coniuge del richiedente, sopravvenuta in pendenza dei termini previsti per la conclusione del procedimento di cui al successivo articolo 7, comma 1”.

Nel motivare la sentenza, la Consulta ha spiegato che è intrinsecamente irragionevole, e pertanto in contrasto con l’articolo 3 della Costituzione, negare la cittadinanza al cittadino straniero (o all’apolide) sposato con un cittadino italiano ma rimasto vedovo in seguito alla presentazione dell’istanza e prima che il procedimento venisse portato a termine.

La Corte sottolinea come la morte sia un evento che non può dipendere dalla sfera di controllo del richiedente e anche dalla ragion d’essere dell’attribuzione della cittadinanza.

“La morte, pur se scioglie il vincolo matrimoniale, non fa venire meno, tuttavia, la pienezza delle tutele, privatistiche e pubblicistiche – fa sapere la Corte – fondate sull’aver fatto parte di una comunità familiare, basata sulla solidarietà coniugale, e dunque non può inibire la spettanza di un diritto sostenuto dai relativi presupposti costitutivi”.

Pertanto, se sono maturati i requisiti di durata del matrimonio, il soggetto ha tutto il diritto di ottenere la cittadinanza: se i coniugi risiedono in Italia il requisito di durata è di due anni, mentre se risiedono all’estero è di tre anni, con tempistica dimezzata in caso siano presenti figli.

La Consulta conclude specificando che “la norma che, dopo il decorso di questo periodo di tempo e dopo la presentazione dell’istanza di cittadinanza, ne inibisce il riconoscimento a causa dello scioglimento del vincolo matrimoniale derivante, durante il procedimento amministrativo, dalla morte del coniuge, è, dunque, del tutto irragionevole e risulta totalmente estranea anche all’esigenza di evitare possibili utilizzi strumentali del matrimonio”.

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