Regolarizzazione, quanti nodi irrisolti: molti stranieri rischiano di rimanere fuori

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Le domande di regolarizzazione sono in aumento, ma il “boom” previsto dal Governo ancora non si vede. Dato che la “deadline” è prevista per il 15 luglio è probabile che assisteremo ad un incremento delle domande nelle ultime due o tre settimane.

Tuttavia, come ricorda anche Il Sole 24 Ore, molti stranieri irregolari provenienti da Paesi al di fuori dell’Unione Europea rischiano di non poter avere accesso alla misura introdotta nel DL Rilancio recentemente approvato dal Parlamento.

La criticità più evidente è quella che riguarda il permesso di soggiorno temporaneo, della durata di sei mesi. Per l’ottenimento di questo documento c’è bisogno di una doppia prova, ovvero il riuscire a dimostrare di essere in possesso scaduto dal 31 ottobre 2019 senza che sia avvenuto un rinnovo o una conversione e anche il poter documentare di aver lavorato regolarmente fino a quella data nel settore agricolo o in quello domestico.

Proprio quella dicitura “dal 31 ottobre 2019” va quindi ad escludere tutti gli stranieri che hanno visto scadere il proprio permesso di soggiorno in una data successiva: resta da capire se il Governo volesse intendere proprio questo o se è solo un “vizio di forma” facilmente correggibile.

Ancora più problematica la seconda prova, dato che per moltissimi stranieri costretti ad un impiego in nero è praticamente impossibile dimostrare di aver lavorato fino al 31 ottobre 2019. Un accertamento dell’Ispettorato del Lavoro avrebbe reso tutto più semplice, ma la misura non lo prevede. Pertanto, chi non può dimostrare contratti di lavoro e/o buste paga (la stragrande maggioranza, ndr) non può presentare domanda di regolarizzazione.

Infine c’è un altro nodo, ovvero la presenza in Italia prima dell’8 marzo 2020. La misura del DL Rilancio prevede anche questo requisito: cosa può dimostrarlo? Un referto medico ospedaliero, ad esempio, così come un decreto di espulsione, probabilmente anche tessere nominative di mezzi pubblici e schede telefoniche di operatori italiani. Non basteranno, invece, le semplici dichiarazioni rese da notai, avvocati, commercialisti o dal datore di lavoro.

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