Protezione internazionale anche a chi rischia la “vendetta d’onore”: il caso di un pakistano

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Tra le modifiche al decreto sicurezza annunciate dal ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, spicca l’allargamento delle situazioni che consentono l’ottenimento della protezione internazionale, dopo la “stretta” voluta da Matteo Salvini, ex responsabile del Viminale durante il precedente governo.

Oltre alle persone perseguitate nel loro Paese per motivi politici o per via del proprio orientamento sessuale, la protezione internazionale dovrà essere garantita anche a coloro che scappano dalla propria terra per mettersi al riparo da possibili vendette d’onore.

I giudici hanno infatti accolto il ricorso di un uomo di 30 anni, originario del Pakistan, che ha continuato a frequentare la sua amata nonostante la stessa fosse destinata ad un uomo del suo stesso censo.

La famiglia aveva imposto il divieto al matrimonio tra i due, che continuavano a vedersi di nascosto.

La ragazza alla fine non ha retto, e ha deciso di togliersi la vita. Per la famiglia della giovane la colpa del suicidio è interamente del pakistano, tanto da riuscire ad ottenere dalla autorità tradizionale locale – la Jirga, ndr – un’autorizzazione alla vendetta d’onore nei confronti del 30enne.

Il delitto d’onore, come precisato anche dagli avvocati difensori del 30enne, è una pratica molto utilizzata e tollerata socialmente in Pakistan.

Anche questo dettaglio ha spinto la Suprema Corte ad affermare un principio di diritto: “In tema di protezione internazionale dello straniero, anche gli atti di vendetta e ritorsione minacciati o posti in essere da membri di un gruppo familiare che si ritiene leso nel proprio onore a causa di una relazione esistente o esistita con un membro della famiglia, sono riconducibili, in quanto lesivi dei diritti umani, all’ambito dei “trattamenti inumani o degradanti” rilevanti per il riconoscimento della protezione sussidiaria”.

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