L’odissea delle badanti straniere che rientrano in Italia

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Il rientro in Italia per le badanti che provengono dalla Romania sta diventando qualcosa di molto simile ad un’odissea.

Come denunciato ieri anche dal quotidiano “La Repubblica”, la procedura per poter rientrare a lavorare nel nostro Paese è piena di ostacoli per le colf e le badanti rumene.

Non appena arrivano in Italia, le lavoratrici domestiche sono costrette ad osservare le canoniche due settimane di quarantena, chiuse in casa anche se non presentano alcun sintomo riconducibile al coronavirus.

Nel frattempo, le badanti e le colf attendono di ricevere risposta alle mail inviate già prima di partire, dove si chiede di poter fare il tampone per riprendere regolarmente l’attività lavorativa.

Un passaggio fondamentale, dato che le lavoratrici domestiche sono quotidianamente a contatto con gli anziani, i più vulnerabili al Covid-19.

Tuttavia, come denunciano molte colf e badanti che lavorano a Torino, molto spesso le due settimane di quarantena passano senza che nessuno si presenti per fare il tampone.

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Una donna rumena, M.I., ha raccontato la sua esperienza al quotidiano “La Repubblica”, spiegando di essere rientrata nel suo paese all’inizio di agosto in seguito ad un lutto e di aver fatto rientro un paio di settimane dopo a Torino in aereo da Bacau.

La donna ha inviato molte comunicazioni per autodenunciare il suo rientro, specificando luogo di residenza, mezzo di trasporto utilizzato, condizioni di salute, numero di telefono.

Nella risposta, giunta dopo 10 giorni, veniva assicurato il tampone al 12esimo giorno di quarantena. Tuttavia, in quel giorno nessuno si è recato presso l’abitazione della badante rumena per sottoporla al tampone. M.I. si trova quindi costretta a rientrare a lavoro senza sapere le sue effettive condizioni.

Mi pagherò il test – ha detto a “Repubblica” – ma se avessi saputo che sarebbe andata così a quest’ora avrei già lavorato. In ogni caso questa settimana è persa”.

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