Bonus bebè discrimina stranieri, la palla passa alla Corte di Giustizia europea

permesso soggiorno gravidanza

Sarà la Corte di Lussemburgo a stabilire se il requisito dei 5 anni di residenza per ricevere assegni e bonus per l’infanzia è discriminatorio e viola il principio di uguaglianza.

Come noto, molte mamme straniere non possono accedere al bonus bebè in Italia perchè non hanno la residenza nel nostro Paese da almeno 5 anni.

Inoltre, molto spesso i genitori dei piccoli non hanno un alloggio stabile e nemmeno un reddito, ed è per questo che per loro diventa impossibile accedere alla misura di sostegno.

Una problematica su cui si dibatte da tempo e che è arrivata anche alla Corte Costituzionale, che a sua volta ha deciso di chiedere consulto alla Corte di Giustizia europea di Lussemburgo (vista anche la complementarietà del diritto italiano con quello europeo, ndr), che si esprimerà tramite una procedura accelerata.

L’assegno di natalità e maternità sono due misure introdotte con la Legge di Stabilità del 2015 per sostenere le famiglie con basso reddito. Tuttavia, fin da subito sono state riscontrate delle criticità, tra cui proprio l’esclusione di tantissimi genitori stranieri e i dubbi sull’incostituzionalità del bonus.

Sotto i riflettori finiscono quindi gli articoli 3 e 31 della nostra Costituzione, che stabiliscono proprio i principi di non discriminazione riguardanti le agevolazioni economiche che fanno riferimento alla maternità e all’infanzia.

La Corte sostiene infatti che il bonus bebè non debba essere inteso come un “premio” alle famiglie che fanno figli, ma abbia invece una funzione assistenziale verso le famiglie che versano in difficoltà economiche anche gravi.

Per questo, la misura (160 euro mensili con ISEE sotto i 7000 euro, 80 euro mensili con ISEE da 7000 a 25000 euro, ndr) dovrebbe essere garantita a tutte le famiglie, senza distinzioni basate sulla residenza in Italia o sul possesso del permesso di soggiorno.

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